Il Santuario (Testi di Lucia Becchere)
Da secoli, immersa nel silenzio spirituale, la chiesetta campestre di San Francesco di Lula (Nu) sfida le intemperie e domina panorami mozzafiato. Incastonata fra le rocce dolomitiche del Montalbo, si erge a 460 metri circa di altezza sul livello del mare. Il Santuario si anima il 4 ottobre e il 1 maggio di ogni anno durante i due pellegrinaggi quando i fedeli, partendo nel cuore della notte dalla chiesa del Rosario e dopo aver raccolto i pellegrini provenienti da tutto il nuorese in attesa nella chiesa della Solitudine, percorrono una trentina di chilometri e giungono al mattino successivo nella chiesetta campestre per rendere testimonianza al Santo per grazia ricevuta e pregare per una sua intercessione.
Si racconta che la chiesetta sia stata edificata intorno alla fine del XVII secolo da un giovane nuorese, Giovanni Tolu, accusato di omicidio, il quale rifiutando ogni addebito si diede alla macchia e promise riconoscenza qualora avesse riacquistato la libertà. Il tribunale lo assolse e lui mantenne la promessa fatta erigendo la chiesetta a Santu Franziscu, da quel momento luogo di culto e meta di pellegrinaggio. Ampliata nel XVII, pur sotto la giurisdizione di Lula, appartiene ai nuoresi che gestiscono la festa e il santuario, da sempre il luogo, che gode di una sorta di extra-territorialità, è una zona sacra neutra dove tutti trovano accoglienza nella fede senza distinzione. Nelle cumbessias, piccole e umili casette in pietra costruite negli anni attorno al santuario dai priori di turno, durante la novena trovano alloggio sos novenantes, accomunati dalla devozione al santo e avulsi da interessi materiali che non appartengono a quel luogo di preghiera. Il priore si fa promotore dell’accoglienza dei visitatori, dei pellegrini, novenantes compresi a cui ogni giorno, per nove giorni, viene distribuito latte, pane, carne, pasta, caffè e quant’altro.
Sorto come umile chiesetta, il santuario si è andato via via trasformando al passo coi tempi, dalle stanze del priore e dei suoi collaboratori, agli ambienti di ristoro e di accoglienza per i pellegrini provenienti da tutti i paesi del circondario, anche le cumbessias, pur nella loro semplice povertà, emblema del credo francescano, sono oggi numerose e confortevoli. Lì trova accoglienza il novenante e la sua famiglia durante la novena che inizia il 1 maggio e si conclude il 10.
Spogliato dalla sua identità, il pellegrino è uno fra tanti che, uniti nella preghiera e animati dalla speranza, mettono a nudo fragilità e sofferenze.
il sagrato non viene profanato da macchine e automezzi rigorosamente lasciati all’esterno del recinto del santuario dove si arriva a piedi, segno di umiltà e penitenza. La chiesetta, stipata all’inverosimile, sprigiona una straordinaria religiosità, in preghiera di fronte all’altare ci si spoglia dell’umano potere e ci si immerge in una dimensione spirituale dove si livellano conflitti e rancori per abbracciare una visione del mondo dal respiro universale. Per l’intera giornata la messa viene celebrata ininterrottamente e le liturgie su susseguono in un rapporto diretto con la fede, nella preghiera il pellegrino si affida totalmente a Lui che tutto comprende e tutto perdona. Da quel momento in poi non è più lo stesso, tutto cambia dopo aver calpestato quel luogo di fede in un rapporto diretto con San Francesco. Questo è il primo grande miracolo che viene elargito ai fedeli, il primo dono che si portano a casa. Una particolare devozione invade tutti, in particolare i pastori sempre devoti al Santo, non hanno mai negato il loro aiuto offrendo con generosità i prodotti della campagna.
Perché tanta devozione attorno a San Francesco? “La gente si riconosce nel Poverello d’Assisi travolto dalle stimate, la sua iconografia varia ma San Francesco nostro ha questa forma. Quindi c’è il travaglio dell’essere umano e chi non si riconosce in questo travaglio? La devozione è tanta perché tutti si riconoscono nell’uomo” (Francarosa Contu).
Il priore
Nel sagrato dove sostano sempre i pellegrini, si diffonde il profumo del caffè fumante proveniente dalla casa del priore. I collaboratori sono sempre pronti ad accogliere tutti con una bevanda, un dolce e un pasto caldo. Ogni cosa viene offerta in nome della fratellanza.
Abili mani preparano su filindeu, vera opera d’arte della cucina tradizionale, fili sottili di pasta lavorata con maestria la cui tessitura viene tramandata dalle nostre nonne da tempi immemorabili. Una prelibatezza che viene servita cotta col brodo fumante di pecora condito con formaggio filante.
Nel grande cortile adibito a cucina, i fuochi sempre accesi, sorreggono enormi pentoloni dove vengono preparati incessantemente i pasti da offrire. I collaboratori preparano le più antiche pietanze sarde servite nelle tavolate comunitarie, di fronte al cibo offerto in nome del Santo ci si sente tutti fratelli. L’accoglienza è all’insegna della cortesia, amici, familiari del priore e tutto il personale volontario fanno gli onori di casa, sono loro che per un intero hanno chiesto le offerte per offrire cibo a tutti. E’ questo il momento in cui si avverte la sacralità dell’ospite invitato a consumare quanto gli viene offerto perché tutto proviene dalla vigna di Francesco per ristorare il viandante pellegrino. Non solo fede quindi, ma anche usanze e tradizione si accomunano in quel luogo di preghiera.
Dopo il primo incarico a priore a Salvatore Selis nel 1893, occorre attendere il 1928 quando si registra la presenza del priore di Paolo Murru e, da quel momento in poi, tranne qualche vuoto, i priori si susseguono regolarmente, condividendo con la comunità dei fedeli momenti religiosi e rituali, nel rispetto delle tradizioni fortemente radicate nella comunità nuorese.
I priori vengono nominati dal vescovo per la rettitudine morale e la loro disponibilità, pur non rispondendo al tradizionale requisito che un tempo implicava l’appartenenza al mondo agro-pastorale, sentito il parere dei vecchi priori, di alcuni sacerdoti cittadini e del presidente dello stesso Comitato rappresentativo delle dieci parrocchie nuoresi, incaricato di affiancare il priore di turno e di redigere uno statuto e un regolamento atto a ricondurre la festa alla religiosità di un tempo, a favorire i festeggiamenti, alla cura del santuario e all’accoglienza dei pellegrini, ricreando momenti di profonda fede per far rivivere lo spirito francescano come si addice a quel luogo di culto. I priori si sentono onorati perché oggetto di stima da parte del vescovo e dell’intero comitato.
Diversi decenni orsono esisteva la famosa Tripide, una sorta di comitato che annoverava tutte quelle rispettabili persone che rispondendo ai quesiti di essere coniugati e pastori, erano priori in pectore per San Francesco di Lula.
La chiamata arriva senza preavviso e perciò inaspettata e ha il volto della predestinazione. Accadimento che si accetta e si interpreta con la fede, pilastro su cui poggia tutto il “viaggio”, grazie anche al sostegno delle rispettive famiglie che si rendono totalmente disponibili.
Il priorato, il cui mandato si rinnova ogni anno, è un servizio da condividere con fede, umiltà, entusiasmo e devozione. E’ fatto di accoglienza e di condivisione perché San Francesco ha in sé tutta la sua comunità che aspetta di essere chiamata, accolta e coinvolta. I fedeli si lasciano travolgere da questo perenne cammino spirituale, pronti salire sul carro per intraprendere la strada insieme e condividere percorso e mete.
Per chi ha fede non sono coincidenze, è un disegno ben più alto, dove si trovano le soluzioni guardandosi attorno e dove San Francesco è una stella polare. Il viaggio cristiano ha inizio con l’accensione del faro che si trova nel piazzale. Quel lume rappresenta la luce del Santo e tutta la comunità si orienta verso quella luce che riscalda e illumina e da lì trae forza e insegnamento. Niente deve essere offuscato da una ritualità ostentata e svuotato da simboli e significati, tutto deve essere ricondotto al dare e al donare a chi ne ha più bisogno, con la partecipazione delle parrocchie e il coinvolgimento dei giovani affinché si accostino al divino che aleggia nel santuario dove tutto è improntato alla fede.
Il priore affronta i problemi quotidiani grazie all’aiuto di tutto il gruppo di lavoro, facendo tesoro dei consigli e fondando le decisioni sul confronto. Si avvale della preziosa esperienza dei predecessori e di tutti coloro che con lui intraprendono quel cammino di fede e spiritualità, dei viandanti pellegrini che giungono al seguito degli stendardi, simbolo di fede e religiosità. Il priore entra sempre in punta di piedi nella casa che appartiene a tutti e accoglie chiunque bussi a quella porta. Solo così alla fine del suo viaggio, dopo essersi nutrito della parola di San Francesco, avrà assolto al suo nobile compito.
Sos pedones
E’ la fede e la speranza che guida i pellegrini-viandanti verso il santuario di San Francesco due volte l’anno: il 1° maggio e il 4 ottobre. E’ un percorso di spiritualità quello che chiama a raccolta tanti fedeli sul sagrato della Parrocchia del Rosario a Nuoro nel rione antico di “Santu Predu”. Prima della mezzanotte si vede una folla rumorosa che con torce e zainetti dopo la benedizione del parroco, si avvia festante verso la Solitudine dove altri pellegrini li attendono per unirsi a loro.
I viandanti proseguono fra i sentieri della boscaglia, superando salite e percorrendo discese fino a dover superare un costone ripido ed impervio, estenuante e sfiancante detto “Su pettorru ‘e ziu Moro” dal nome del proprietario del fondo, per giungere alla vetta dove una piccola radura è il palcoscenico naturale da dove si può ammirare un insolito dipinto notturno che si perde in lontananza. Lì, svetta una seconda croce sormontata da una freccia detta “ventola” o “girandola”. Si narra che funga da oracolo per i pellegrini. Infatti se la freccia, fatta girare con forza dai fedeli finisce la sua corsa con la punta rivolta verso Nuoro avrebbe suggerirebbe l’opportunità di interrompere il viaggio, in caso contrario si può proseguire verso il Santuario. In cima su quel pianoro, in una visione d’insieme, lo sguardo si perde nell’oscurità della notte alla ricerca del mistero, strane figure in movimento, nastri di fiammelle tremule e silenziose ondeggiano nel buio per dire che nessuno è solo. Fasci di stelle cadute dal cielo che con il loro tremolio salutano i pellegrini, diffondono armonia e ne condividono la fede. Sono nastri di luce che danzano nella notte e guidano i pensieri immersi in un paesaggio notturno da sogno nel calpestare un altro pianeta.
Il primo tratto di strada da percorrere è interamente asfaltato e dalla Solitudine prendendo la scorciatoia di Janna Ventosa porta a Isalle, prima sosta del percorso. Una croce in ferro si erge su un basamento di cemento ai piedi della quale si raccolgono i pellegrini attorno al fuoco precedentemente acceso dai volontari del priorato che offrono ai viandanti bevande calde, vino e dolci su espresso incarico del priore.
Sono pellegrini muniti di torce che illuminano la strada. Spettacolare e commovente visione d’insieme che toglie il respiro. E’ solo una notte d’incanto.
Durante il percorso si procede insieme sempre più numerosi anche se non mancano gruppi isolati che si muovono nel buio della notte coperti da un velo che sfuma i contorni mentre il mistero che avvolga ogni cosa rende tutto più poetico e più intimo.
La gente prega, si racconta e canta. Non è un profanare il sacro che sprigiona il buio della notte ma è una comunione d’intenti, di partecipazione, un’attesa condivisa lungo quei sentieri che conducono a quel Santo amato e venerato dai fedeli.
Il cammino, 30 km circa, è interamente disseminato di croci issate nel tempo da pellegrini, forse per voto o in ricordo di qualcosa o di qualcuno di cui non è dato sapere.
Superata la cresta della girandola ci si inoltra lungo il tratto della superstrada Bitti-Lula che porta alla zona miniere dove una piccola nicchia custodisce la Madonnina di Santa Barbara che invita al raccoglimento e dove ancora una volta il priore ha predisposto un ulteriore ristoro prima di proseguire l’altro tratto di cammino ancora da affrontare. Dopo aver percorso alcuni chilometri di strada battuta, in uno spiazzo si trova la croce di San Nicola dove il priore attende i pellegrini con lo stendardo e dove vengono spiegati tutti gli stendardi che i fedeli hanno portato da Nuoro e rimasti chiusi fino a quel momento. E’ un gesto fraterno di fede che suggella l’incontro, molto suggestivo e pittorico nel vedere svolazzare quelle luminose immagini sacre che ondeggiano in un saluto che sa di ringraziamento per la felice conclusione della camminata notturna.
E’ una festa corale e prima che la processione si snodi verso il bianco santuario viene offerto qualcosa di caldo per quel ritrovarsi nella condivisione di quella indimenticabile esperienza di cui tutti ne serberanno un indelebile ricordo. E’ una sorta di benvenuto da parte del priore che deve accogliere tutti in quella casa comune che è il santuario. Ora il buio della notte comincia a diradarsi e le deboli luci dell’alba pigra e lenta cominciano a delineare i contorni della natura, dipingendoli di strane e misteriose sfumature di colori. Tutto è divino, irreale, tutto invita alla preghiera e al raccoglimento.
Prima di arrivare al santuario, che dista circa 200 metri, s’incontra un piccolo avvallamento detto “Su fossu ‘e s’isposa”. Narra la leggenda che una giovane sposa avesse perso la vita in quel luogo per essere caduta da cavallo, una sorta di punizione divina dopo aver rifiutato “su filindeu” tipica minestra offerta ai pellegrini nelle mense del priorato, questo accadimento avrebbe dato il nome a quel luogo.
Quel lungo andare, circa 30 chilometri, sta per concludersi, molti avvertono la fatica e fanno delle brevi soste ma nessuno si arrende.
E’ mattino, le montagne di Lula si offrono nella loro bellezza, il santuario s’intravede poco distante, bianco e maestoso. Ora il sole sorride ai viandanti riscaldandoli col calore dei suoi raggi, le ombre prendono si diradano regalando forme e colori, si delineano le facce e la gente scopre di aver camminato per un’intera notte con amici e conoscenti. E’ un affettuoso ritrovarsi.
Resta l’ultimo tratto di strada che porta al santuario. Lo spirito d’accoglienza e di fratellanza aleggia nell’aria. Straordinaria ed irripetibile esperienza. Uno dopo l’altro i gruppi fanno ingresso in quel luogo sacro, precedono gli uomini con gli stendardi “Pandhelas” ora spiegati in segno di saluto, simbolo di profonda devozione al santo. “Sas pandhelas” di diversa fattura e colore, dal bianco all’azzurro, riportano l’effige del santo e tenute per i cordoni dal priore e dalla moglie fino all’entrata in chiesa.
Ricamati da mani esperte, gli stendardi vengono donati per fede o per voto e pur restando di proprietà privata accompagnano ogni anno i fedeli lungo tutto il pellegrinaggio.
Lo spirito d’accoglienza e di fratellanza aleggia nell’aria. Si è stanchi ma felici per quella esperienza straordinaria ed irripetibile
La grande famiglia dei pellegrini riempie il sagrato della chiesa dove la messa li unisce in preghiera. Segue il lavaggio ristoratore dei piedi, simbolo anche di purificazione dell’uomo.
Infine la casa del priore li accoglie spalancando le porte per offrire conforto dopo quel lungo viaggio di fede e di speranza.
I cavalieri
Ogni anno, l’8 maggio i cavalieri partono da Nuoro per il Santuario di San Francesco di Lula. Come da tradizione si danno appuntamento nel sagrato della chiesa del Rosario richiamati a raccolta dal suono festoso delle campane mentre il parroco li attende sull’uscio per impartire loro la benedizione prima della partenza. Il portale della chiesa in legno intarsiato rimane spalancato già di primo mattino in segno di accoglienza mentre la figura del prelato vestito di bianco rende omaggio al santo. La moltitudine dei fedeli sosta sui marciapiedi attorno al sagrato e nella piazzetta antistante a cui si accede con una larga scalinata in granito. Di lì a poco il nuovo priore si mette alla guida del corteo dei cavalieri provenienti dai tanti vicoli che a raggera portano alla piazza. Arrivavano chiassosi a gruppi più o meno numerosi, al passo cadenzato dello scalpitio degli zoccoli che battono l’antico selciato della vecchia Nuoro. I cavalli condotti dai cavalieri, finemente addobbati, procedono al trotto. Numerose anche le cavallerizze rigorosamente vestite in velluto nero, giungono cavalcando il cavallo con maestria ed eleganza sotto gli sguardi ammirati della folla.
La chiesa si mostra in tutto il suo rigoroso splendore, bianca e semplice, con il rosone centrale ed il campanile che contiene a fatica le sei campane di bronzo che suonano a festa. Attorno al campanile, spesso stormi di uccelli volteggiano in una danza ritmata al suono delle campane.
I cavalieri dopo aver fatto tre giri attorno alla chiesa come da tradizione, ricevono la benedizione dal Parroco prima di avviarsi verso il santuario. Faranno rientro a Nuoro dopo due giorni dopo aver sostato per una intera giornata a s’arbore, zona campestre di Marreri.
S’arbore è un retaggio paganeggiante del cristianesimo sardo, nelle zone interne meno contaminato dalla civiltà moderna dove l’arcaico si è conservato più che altrove, che caratterizza diversi momenti della festa del Santuario. La località prende il nome da un albero tradizionale e dista da Nuoro circa 9 chilometri. Lì, una moltitudine di persone al rientro dalla festa si raccoglie attorno agli spiedi che reggono le carni fumanti del porcetto arrosto, sa corda e su zurrette e attorno ai quali i giovani si lasciano andare al gioco della morra, gioco che accompagna tutte le faste in Barbagia, accompagnandosi con un buon bicchiere di vino. Un momento religioso anche questo tutto a sé e tutto si svolge improntato alla spiritualità, alla fede e la gioia della festa che si va a concludere. Il ricco banchetto viene offerto dal nuovo priore in nome del Santo per riportare la festa nell’ambito religioso.
Quando il priore a cavallo affiancato dalla prioressa, scortato dal suo seguito e da numerosi cavalieri, lascia il s’arbore per fare rientro in città, portando con sé la statua del santo, è pomeriggio inoltrato e in quella cornice campestre si è già consumato l’ultimo giorno della festa. Una folla numerosa li attende trepidante da ore. Ogni tanto, da più parti, un brulicare di folla annuncia che il loro arrivo è imminente ma l’attesa solitamente si prolunga e il ritardo è notevole. I fedeli si animano ulteriormente quando il suono delle campane si fa più fragoroso, fino a che i nitriti dei cavalli ed il rumore degli zoccoli annuncia che l’attesa era finita. I “nuovi” e “vecchi” priori guidano il corteo e salutano la folla. Il piccolo tabernacolo in legno contenente la statua del Santo è ancorato alla spalla del priore con una cinta in cuoio, mentre la folla applaude commossa. A seguire tutti gli altri cavalieri, alcuni rigorosamente allineati, altri in ordine sparso. Il Parroco del Rosario con una moltitudine di fedeli radunati nel piazzale della chiesa, li accoglie, li benedice, prende in consegna il santo per custodirlo e consegnarlo al nuovo priore l’anno successivo. La festa si protrae nella casa del nuovo priore a cui verrà consegnato lo stendarlo da custodire fino al prossimo maggio.
I cavalieri prima di congedarsi compiono i rituali tre giri attorno alla chiesa e per tre volte si inchinano devoti davanti al Santo per ringraziarlo della sua protezione mentre le macchine fotografiche immortalano momenti irripetibili di devozione e di folclore. Quando tutto è compiuto, la folla si disperde nei vicoli di Santu Predu e carica di commozione si lascia andare a commenti benevoli.
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